Teatro

Da Sofocle a Pasolini, Edipo è sempre Re

Da Sofocle a Pasolini, Edipo è sempre Re

Martedì 15 marzo c’è la prima milanese di Edipo Re - Da Sofocle a Pasolini al Teatro Tieffe Menotti, in scena fino al 20. In questi pochi giorni non bisogna  farsi sfuggire l’opportunità di vedere e ascoltare il lavoro notevole che Ulderico Pesce e Maria Letizia Gorga hanno realizzato riscrivendo il mitico testo di Sofocle, miscelandolo ai sentimenti che Pier Paolo Pasolini infuse in un testo ispirato al celebre personaggio greco e che divenne un film assai emblematico nel 1967. Ho l’opportunità di parlare con Maria Letizia Gorga, voce suadente e aspetto fluttuante, che ci racconta tutto su questo importante evento.

Dimmi subito, quali sono i vostri ruoli?

Io sono Giocasta, Maximilian Nisi è Edipo mentre Ulderico Pesce, attraverso la figura del pastore, si fa narratore e indossa i panni dei personaggi che evoca, oltre al pastore stesso.

La drammaturgia teatrale è riscritta da te e Ulderico, perché?

Ci rifacciamo a Sofocle ma ci rifacciamo molto a Pasolini, sul suo esilio, sul suo essere errante e sull’incesto.

Beh, parlando di Edipo... E la storia?

Pasolini si rifaceva a un materno ingombrante, che si trovava nelle scelte, in un destino che si subisce, con questa madre che si fa parte del destino. Questo conflitto è molto forte tra Re Laio ed Edipo. Mentre Sofocle racconta come si sapesse che il mettere al mondo un figlio sarebbe stato nefasto, Pasolini parla di un paterno aggressivo, rivale, con lo sguardo del padre che osserva la nascita del figlio e lo sguardo della madre che si rivolge al figlio in altro modo. Non c’è assolutamente tale emozione in Sofocle, mentre qui con Pasolini ci sono donne che cullano il figlio, hanno un rapporto castrato, direi viscerale, inconscio ovviamente.

Ma ci sono così tante interpretazioni?

A noi interessava di più, anche secondo Ulderico, parlare di un mondo arcaico, di una sorta di età del’oro, un mondo armonico che venirìva infranto dall’uomo nuovo, quello cioè che Edipo porta con sè. Egli è portato da un fato, dagli Dei, ma tale mondo viene infranto e l’uomo prende in mano il suo destino, credendo di potersi sottrarre agli dei, anche quando sapeva che sulla sua testa pendeva un destino maledetto. E infine si ritrova a quello cui era predestinato.

Quindi c’è un modo nuovo di vedere questa tragedia?

L’Edipo che noi presentiamo si macchia di tracotanza, di prepotenza: lui crede di evitare le regole con una sorta di razionalità. Lui dice ‘Io sono il primo fra gli uomini, l’illuminato, il migliore di tutti, cambierò il destino degli uomini, perchè piangete? Io vi libererò dalla peste'. La città in effetti era stata colpita già due volte dalla peste: alla morte di Laio e, dopo parecchi anni l’accoppiamento della madre con il figlio, succede ancora.

Però c’era di mezzo l’indovinello degli dei, no?

Sì, qui non molti ricordano il fatto, ma chiunque avesse liberato la città dalla peste sarebbe diventato il Re della città e noi lo facciamo vedere: la Sfinge aveva lanciato questo indovinello e chiunque lo avesso indovinato avrebbe liberato la città, che moriva, dal potere della Sfinge.

Era il famoso indovinello delle gambe, chi ne ha prima 4, poi 2 e infine 3, vero?

Sì: chi è quello che nasce a quattro zampe, poi ne ha due e poi tre e lui dice ‘L’uomo’, ecco che sembra nascere il libero arbitrio. Edipo, lui si trova vincitore, ha liberato la città che muore dalla peste, dalla Sfinge, ma si trova a diventare Re e quindi si accoppia con la Regina, ovvero sua madre ma lui non lo sa.

Già, era inconsapevole ma colpevole!

Lui fugge da Corinto credendo che i suoi genitori siano altri e, saputo questa cosa sul suo destino, voleva salvarli ma, quando sulla strada incontrai il suo vero padre, dal quale viene trattato malissimo, reagisce con ira e lo uccide. Così il destino si compie. Nella sceneggiatura di Pasolini la cosa si esprime con moltissima sensualità, anche Freud fu interessato a questo aspetto. Ma il passaggio dal mondo arcaico al mondo nuovo fu traghettato da Edipo.

Davvero? Come pensate di offrire questa lettura?

Abbiamo portato in scena campane della transumanza, hanno ognuna un suono diverso, vengono dalla Basilicata, le ha portate Ulderico che è di quelle parti. Il suono indicava la strada, si riconoscevano un tempo dal passaggio dei suoni, così qui parliamo del recupero di canti popolari dei popoli Arberesh stanziatisi in Basilicata e Calabria, ovvero degli albanesi e dei greci. Tale tradizione musicale è approdata soprattutta nel Salento, in Puglia. In Basilicata oggi ci sono comunità stanziali, con le loro tradizioni, che noi abbiamo intervistato, testimoni di quella tradizione lì e, in scena, abbiamo portato anche quella musica lì, bellissimi antichi canti, arderesh albanesi e grecanici del Salento.

Perbacco, deve essere magico... Come ci avete pensato?

La cosa più affascinante sta qui: questo progetto è durato anni e c’è stata questa collaborazione col grande regista russo Anatolij Vasil’ev, che conoscevamo bene. Noi siamo stati a Mosca due anni, dal ’91 al ’93 e abbiamo fatto un Pirandello con lui, è stato uno dei primi lavori con diversi linguaggi recitati assieme, compiuto tra la Scuola Drammatica di Mosca di Vasil’ev e il Teatro Stabile di Roma dellArgentina che, attraverso l’ateneo, ha costruito questo grande progetto con attori russi e italiani. E Ulderico e io siamo riusciti, dopo tantissime prove, a lavorare con loro, poi siamo restati in contatto e questo progetto sull’Edipo glielo abbiamo presentato e abbiamo avuto la sua consulenza sulla messa in scena.

E’ venuto apposta in Italia?

Sì, lui è venuto in Italia apposta, abbiamo lavorato assieme, è stato un grande regalo. Io e Ulderico Pesce lavoriamo  anche con Maximilian Nisi, che viene dal Piccolo di Milano: lui ha studiato con Strehler, Ronconi, Calenda e tanti altri grandi registi. Abbiamo prodotto diversi lavori negli anni, abbiamo messo assieme le nostre forze e ci è piaciuto condividere questo viaggio.

Poi ci sono dei musicisti, con voi in scena. Che fanno?

Sono al pianoforte Stefano de Meo e ai fiati Pasquale Laino per portare musica dal vivo, dove si suonano pure questi enormi campanacci, simboli del mondo pastorale e della transumanza. In fondo direi che il nostro lavoro è in realtà una partitura a cinque, perché anche i musicisti si fanno attori... anche io sono attrice e cantante e sempre mi piace inserire un racconto in musica. Tendo sempre, quando posso, a inserire l’elemento musicale.

Questo spettacolo gira per tutta Italia?

Noi abbiamo debuttato questa estate a Volterra e fatto tappe in teatri antichi e siti archeologici, d’estate. In inverno stiamo girando nei teatri, invece, presentandoci un po’ in Sardegna dapprima e da poco la tournée è ripresa: andremo ad Aosta e in giro per tutto aprile, con la possibilità di proseguire la prossima stagione partendo da Roma. Speriamo bene!